BY SAMUEL COLOMBO
Il 6 aprile 2017 intorno alle 20.45 ora di Washington (le 2.45 in Italia) gli Stati Uniti hanno lanciato 59 missili da crociera Tomahawk da due navi da guerra americane di stanza nel Mediterraneo orientale contro la base aerea di Shayrat, nella parte centrale della Siria, come risposta all’uso di armi chimiche (4 aprile 2017) contro i civili della città siriana di Khan Sheikhoun nella provincia di Idlib, in cui sono morte circa cento persone, di cui l’amministrazione Trump accusa il regime di Assad.
Il regime siriano ha negato una sua responsabilità nell’attacco con armi chimiche.
Ora non siamo qui a discutere sui responsabili di quell’attacco disumano avvenuto con armi chimiche anche se sembra evidente il fatto che ci sia sempre l’Isis dietro tutto questo come fa trasparire la Russia di Putin. I diversi giornali ne parlano ampiamente.
La West Africa Corporation invece vuole porre un’altra questione. Si vuole concentrare su un apparente dettaglio: i missili. Più precisamente quelli non arrivati a destinazione.
Sì, proprio così.
Infatti l’attacco da parte degli Stati Uniti ha portato a questo risultato: 59 missili lanciati, solo 23 missili a bersaglio.
E i 36 missili rimasti, quelli non andati a bersaglio, che fine hanno fatto?
Ma prima di approfondire il caso cerchiamo di saperne di più su questi missili Tomahawk.
I Tomahawk sono missili da crociera a medio raggio che hanno una gittata da 1.250 chilometri a 2.500 chilometri. Velocità: 885 km orari. Peso: 1.361 kg. Lunghezza: 6,2 metri.
Vengono sparati dal mare e viaggiano relativamente a bassa quota e sono guidati da un sistema di navigazione avanzata, il che significa che gli Stati Uniti potrebbero colpire la Siria anche da una grande distanza.
“Quello che è importante circa i Tomahawk è che non necessariamente vanno dal punto A al punto B in linea retta. Compieranno una specie di percorso di circumnavigazione in modo che non possano essere abbattuti“, ha riferito l’ex generale statunitense James “Spider” Marks.
Estremamente preciso, segue una traiettoria computerizzata, raggiungendo in poco tempo il suo primo punto di navigazione, normalmente una collina, un edificio o qualche altra struttura fissa. A differenza dei missili balistici, una volta in volo i Tomahawk possono modificare rapidamente la traiettoria, essendo dotati di un’apertura alare considerevole. Dopo il lancio effettuato mediante un razzo, o un motore ausiliario a razzo, sui lati del Tomahawk si aprono delle alette.
La rotta viene costantemente confermata dal sistema elettro-ottico Digital Scene Matching, una piccola telecamera che confronta le immagini riprese con quelle immagazzinate nella memoria del Tercom. Se viene notata qualche discrepanza fra i dati in memoria e le riprese della telecamera, il Tercom determina velocemente se il resto dell’immagine è corretta.
Nel giro di pochi secondi il razzo si spegne ed entra in funzione la turboventola del missile. Da qui il Tercom di bordo lo dirige da un punto all’altro, spesso con strettissime virate, brusche impennate e vertiginose picchiate. In questo caso il missile prosegue, altrimenti invia un messaggio alla base che può decidere se far proseguire il missile o farlo autodistruggere.
I missili sono stati utilizzati dagli Stati Uniti nell’operazione Desert Storm della guerra in Iraq.
Questo tipo di missili hanno la capacità di trasportare anche un carico nucleare.
Ma ora approfondiamo il caso.
Estremamente preciso, segue una traiettoria computerizzata, dunque come possono 36 missili non essere arrivati a destinazione?
Sono forse spariti? Sono stati distrutti?
Hanno raggiunto altre destinazioni? Cosa hanno colpito?
Dov’è la verità?
Davvero vogliono farci credere che non sono andati dove avevano previsto?
Vogliono farci credere di aver sprecato 36 missili? Con il costo elevato di ciascun missile, quindi una considerevole perdita economica nell’arsenale militare statunitense?
Infatti il costo dei 59 missili Tomahawk usati nell’attacco in Siria pare ammonti ad una cifra di circa 100 milioni di dollari. La stima si basa sulla valutazione fatta nel bilancio della Difesa Usa del 2014: all’epoca questi missili costavano 1,59 milioni di dollari l’uno e a quel prezzo i 59 missili sparati dal Mediterraneo sarebbero costati 93,81 milioni di dollari. Considerando che il riferimento è a un valore di oltre due anni fa, si dovrebbe essere più vicini ai 100 che ai 90 milioni.
In più quest’operazione dimostrerebbe l’inefficienza da parte dei militari statunitensi sull’uso delle armi dato che più del 50% dei missili inviati non sarebbe arrivato a destinazione.
Attenzione ai dettagli cari lettori, perché molte volte possono fare la differenza.
Dunque la domanda ora cambia: siamo proprio sicuri che siano stati lanciati 59 missili? In quanto la tesi sull’inefficienza dei militari statunitensi o sul problema legato alla tecnologia utilizzata mi sembra sia alquanto debole.
Qualcuno li ha forse contati?
Certo, ci sono fotografie che testimoniano che qualche missile è stato lanciato.
Ma se fossero stati sparati solo 23 missili? Ovvero solo quelli che effettivamente sono andati a bersaglio?
Forse quei 36 missili mancavano già all’appello prima di questo lancio e ora si è trovato il modo di far quadrare i conti.
Ma se così fosse a chi sarebbero stati dati quei 36 missili? E perché queste manovre?
Certo, può sembrare un film di James Bond, ma qui si fa sul serio cari lettori.
Ogni giorno siamo bombardati da informazione ‘spazzatura’. Ci viene detto ciò che è conveniente dire, ciò che noi dobbiamo sapere affinché l’opinione pubblica approvi certe decisioni governative.
Ma la verità il più delle volte sta da un’altra parte.
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