BY SAMUEL COLOMBO
Tantissime donne ancora oggi subiscono violenze fisiche e psicologiche da parte di uomini che non possono definirsi tali.
Uomini che spesso e volentieri si fingono agnelli davanti agli altri per salvare le apparenze ma che in realtà non appena è possibile sfogano la loro ira, il loro disprezzo per la vita, il loro fallimento, la loro frustrazione, la loro insoddisfazione nella donna vista come l’oggetto debole ma soprattutto indifeso.
Ma qui in realtà i deboli sono proprio questi uomini che con questi atti si sostituiscono alle belve e come bulli vogliono prendersela con coloro che sanno non si ribelleranno.
Pensate si stia parlando di un paese africano? Oppure di un qualche villaggio abbandonato in chissà quale parte del mondo? Oppure di un posto dove non esiste civiltà?
No, assolutamente.
Stiamo parlando del nostro Paese. Stiamo parlando dell’Italia dove ancora oggi tantissime donne vivono costantemente nella paura, nel terrore. Vivono ogni giorno un incubo che sembra non finire mai. Sembra non esserci mai via d’uscita.
Voi direte: perché dunque non incoraggiare queste donne a ribellarsi, a farsi avanti, a reagire a situazioni del genere? In verità purtroppo non sempre è così facile. Inoltre la giustizia italiana spesso e volentieri non ti tutela come dovrebbe.
È il caso di una donna come tante che si è rivolta al nostro giornale e che per ora vuole rimanere nell’anonimato.
Vive costantemente sotto minaccia. Subisce pressioni, violenze psicologiche.
Ha subito anche violenze fisiche. È stata mandata in ospedale.
Ha contattato i carabinieri innumerevoli volte ma a quanto pare prima di un intervento risolutivo dobbiamo aspettare che la situazione si aggravi sempre di più.
In questo caso ci sono di mezzo anche dei bambini. La storia ormai è finita.
Perché non chiudere in pace e tranquillità?
Perché l’odio da parte dell’uomo nei confronti della donna ha preso il sopravvento e sebbene durante il corso del matrimonio ci siano già stati atti ripetuti di violenza ora anche dopo una continua ‘escalation’ pare nessuno possa intervenire.
I carabinieri hanno le mani legate.
Le denunce devono fare il loro corso. I giudici ragionano per schemi.
Nel frattempo la donna si spegne giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto.
La donna si sente così chiusa in una gabbia di sofferenza, di dolore. Una gabbia che può far cadere la donna in una completa esasperazione che può portare a diversi stadi di depressione fino alla morte nei casi più gravi.
Forse è questo che ci si aspetta?
Fino a che punto bisogna aspettare prima di intervenire?
Fino a che punto uno può resistere? Bisogna forse aspettare la faccia tumefatta, le botte con lividi visibili? Ma esistono lividi molto più profondi che ti possono distruggere dentro nell’anima e mangiarti poco alla volta.
Cari lettori, non sottovalutiamo. Cari lettori, non minimizziamo mai un dramma di questo tipo.
Cari carabinieri, lo so che siete i primi ogni giorno a rischiare la vita. So anche che spesso e volentieri non avete i mezzi e le tutele che vorreste.
Cari giudici, lo so che avete milioni di casi e purtroppo ragionate per schemi e scompartimenti.
Ma voglio solo dire una cosa: dall’altra parte c’è non un numero, ma una persona che vive un dramma. Diamo il giusto peso alle cose. Ascoltiamo il nostro cuore e la nostra coscienza e facciamo ciò che sappiamo che è giusto.
L’importante care donne è non perdere mai la speranza.
Alla fine sono sicuro che se la giustizia terrena non arriverà, interverrà quella divina. Sempre.
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